Era l’anno 2000 quando Mel Gibson, nel film What Women Want, a causa di un piccolo incidente era riuscito a scoprire cosa pensassero davvero le donne. Pura fantasia, ovviamente, ma nel 2019 possiamo finalmente affermare che comprendere il cervello umano è possibile ed il tutto grazie all’impiego dell’intelligenza artificiale nel settore delle neuroscienze.
Sono due le recenti scoperte che ci portano in viaggio verso il futuro. I ricercatori del MIT stanno lavorando sulla segmentazione delle strutture anatomiche del cervello umano, automatizzando il processo grazie all’AI, mentre IBM ha creato un modello neuroscientifico basato sul sistema cloud per lo studio dei disturbi neurodegenerativi, utilizzando algoritmi che imitano l’evoluzione biologica per trovare soluzione a problematiche di fatto complesse.
Ma le ricerche che prevedono l’utilizzo di intelligenza artificiale nelle neuroscienze sono già a buon punto. Si può dire che, ad oggi, esistono dei sistemi già collaudati per il trattamento dei sintomi della depressione, software di apprendimento automatico in grado di riconoscere i cambiamenti cerebrali causati dall’avanzare dell’Alzheimer e scansioni in grado di identificare tendenze suicide.
Nel caso specifico dell’Alzheimer, principale causa di demenza nelle persone anziane, la più grande sfida è quella di ottenere diagnosi precoci per rallentarne la progressione.
La svolta dell’Università di Bari: il nuovo software di diagnosi precoce per l’Alzheimer
Seppure sia luogo comune che in Italia siamo indietro anni luce rispetto al resto del mondo, di fatto non è proprio così: all’Università di Bari, il team guidato dal fisico Marianna La Rocca ha sviluppato uno speciale algoritmo di apprendimento automatico in grado di discernere i cambiamenti strutturali nel cervello causati dall’avanzare dell’Alzheimer.
L’algoritmo è stato “addestrato” attraverso 67 immagini ricavate dallo strumento di risonanza magnetica (38 derivanti da pazienti malati e 29 da un gruppo di controllo) per imparare a riconoscere un cervello sano da uno malato. I ricercatori hanno diviso ogni immagine in piccole regioni, hanno analizzato la connettività neuronale ed hanno scoperto che il software, in determinate condizioni, è in grado di effettuare una classificazione molto accurata dello stadio della malattia.
Analizzando una serie di scansioni cerebrali (52 derivanti da soggetti sani, 48 da persone affette da Alzheimer e altre 48 con lieve deficit cognitivo che avrebbero sviluppato la malattia da 2,5 a 9 anni dopo) il sistema ha saputo distinguere la malattia con una precisione dell’86%. Per La Rocca, questo dimostra che l’algoritmo sviluppato è perfettamente in grado di identificare i cambiamenti nel cervello che portano all’Alzheimer con un preavviso di quasi un decennio dalla comparsa dei sintomi clinici.
Attualmente esistono già delle scansioni cerebrali che sono in grado di prevedere, con relativa precisione, se vi sia o meno il rischio di sviluppare Alzheimer in un individuo entro dieci anni. La problematica è che si tratta di metodi invasivi e costosi, disponibili solo in centri altamente specializzati. Il nuovo software sviluppato dall’Università di Bari, invece, prevede tecniche più semplici e meno invasive, oltre che più economiche. Ecco perché si sta ora pensando di applicare questa nuova scoperta di diagnosi precoce anche ad altre malattie neurodegenerative come, per esempio, il morbo di Parkinson.
Un algoritmo per identificare i potenziali suicidi
L’impiego dell’intelligenza artificiale nel campo delle neuroscienze trova riscontro anche nell’identificazione dei suicidi. Un gruppo di psicologi e psichiatri di diverse università americane ha sviluppato un algoritmo simile per identificare potenziali suicidi.
Per farlo hanno sottoposto 34 giovani ad una risonanza magnetica funzionale (fMRI), presentando loro tre liste composte da dieci parole: una relativa al suicidio (es. morte, angoscia, fatale), una positiva (es. buono, innocenza) ed un’altra negativa (es. noia, male). I ricercatori hanno utilizzato le immagini cerebrali precedentemente mappate che mostravano dei particolari modelli emotivi ed hanno identificato cinque posizioni nel cervello come i migliori marcatori per distinguere gli individui suicidi dagli altri.
Dopo questa prima parte di ricerca hanno quindi addestrato un classificatore di apprendimento automatico in grado di identificare correttamente 15 dei 17 pazienti con istinti suicidi analizzati.
Le nuove scoperte IBM
L’impiego dell’intelligenza artificiale nel settore neuroscientifico ci permette di aprire nuove porte sul cervello e sulla mente umana.
La nuova ricerca firmata da IBM per lo studio dei disturbi neurodegenerativi è stata di recente pubblicata su Cell Reports e sintetizzata da Psychology Today.
Questa rappresenta un progresso nelle tecniche di apprendimento profondo, modellato liberamente sul cervello biologico con strati di reti neurali. Si tratta, in genere, di soluzioni che richiedono un training approfondito con enormi set di dati, che vengono poi personalizzati per settori specifici. La ricerca IBM ha permesso lo sviluppo di algoritmi evolutivi che possono risolvere delle problematiche utilizzando pochi o addirittura nessun dato.
Le diverse classi di algoritmi evolutivi comprendono algoritmi genetici, strategie di evoluzione, evoluzione differenziale e stima di algoritmi di distribuzione. Ciò che queste classi hanno in comune è il processo di evoluzione, il quale prevede la generazione casuale di popolazioni di punti di ricerca, chiamati anche agenti, cromosomi ed individui.
Gli algoritmi evolutivi sono distribuiti in natura, il che li rende più che adatti all’elaborazione multi-core basata su cloud. Il software è già stato utilizzato con successo per una ricerca sulla malattia di Huntington, nella quale i ricercatori hanno fatto uso di un algoritmo NSDE di ultima generazione ospitato su IBM Cloud.
AI e neuroscienze: cosa aspettarsi per il futuro
Le opportunità dell’intelligenza artificiale applicata alle neuroscienze sono davvero significative. Le stime dell’IDC dimostrano che la spesa globale per i sistemi cognitivi basati su AI dovrebbe raggiungere i 57,6 miliardi di dollari entro il 2021. L’attuale rinascita dell’intelligenza artificiale, in gran parte dovuta al deep learning, sembra essere un movimento globale che interessa investimenti da parte di aziende, università e governi di tutto il mondo. Inoltre, il mercato globale delle neuroscienze dovrebbe raggiungere i 30,8 miliardi di dollari entro il 2020. Ad oggi, venture capitalist, angel investor e compagnie farmaceutiche stanno effettuando investimenti significativi in startup del settore.
In futuro si prevede che l’intelligenza artificiale porterà ad una sempre maggior comprensione del cervello umano, alla prevenzione di diverse malattie neurodegenerative ed alla cura di patologie psicologiche e psichiatriche. Non ci resta allora che attendere nuovi importanti sviluppi per l’esistenza dell’essere umano.